AMBIENTE

L’agonia del Biondo Tevere tra immondizia, bici e monopattini: “È una palude”. In canoa con i volontari di MareVivo.

“Il fiume di Roma sparisce. Pieno di rane, la fauna e tutto l’ecosistema sono in pericolo”
Quei due cerchi a forma di occhi al centro di Ponte Matteotti sembrano guardare nel vuoto. Spalancati e increduli, puntano dritti su quel che resta del fiume. Gli stessi occhi coperti dalla piena del 2012 ora sono l’immagine dell’allarme siccità. Il Tevere soffre. Il livello continua a scendere e si attesta sul record negativo di un metro e mezzo sotto i valori normali. Non accadeva da oltre 20 anni.
Le colonne di cemento che sorreggono il basato degli argini su Lungotevere Oberdan sono completamente fuori dall’acqua.

“Sto sul Tevere da 32 anni, gli ho dedicato la mia vita – racconta Carmen Di Penta – è la prima volta che lo vedo così. I battelli turistici sono fermi, non c’è corrente, l’acqua continua a diminuire. Di solito ci sono quattro o cinque metri di profondità, ma il letto si sta prosciugando e purtroppo le previsioni meteo non sono rassicuranti. Sono preoccupata. L’habitat è diventato una palude, è pieno di rane, la fauna e tutto l’ecosistema sono in pericolo”.
Il barcone di MareVivo è ormeggiato nel tratto che va da Ponte Milvio all’Isola Tiberina: è della Onlus attiva dal 1985 per la tutela delle acque marine e dell’ambiente di cui Carmen Di Penta è la direttrice generale e, a bordo di una canoa, osserva da vicino lo stato di calamità del fiume. Dopo una breve navigazione emerge un vecchio frigorifero incagliato su uno scoglio: “Ieri ho chiamato il Comune- aggiunge Carmen – per farlo rimuovere, ma i tempi di questa città sono lunghi e così spesso me la sbrigo da sola”.
Sulle sponde c’è di tutto: rami, antenne, parapetti di ferro, biciclette, monopattini. E a sorpresa dall’acqua spunta un enorme sacco nero. Carmen non si perde d’animo, afferra la cima, lo lega e lo trasporta a terra: trenta chili di immondizia lanciati chissà da dove.
L’acqua salmastra è piena di nutrie e altre specie animali: gallinelle, germani reali, martin pescatore e ballerine bianche. Nuotano da una parte all’altra facendo slalom tra erbacce, alghe e rifiuti vari. La vegetazione è completamente abbandonata a se stessa e in alcuni tratti ricopre quasi completamente il fiume.
Soffrono gli enormi platani in cima alle sponde, sembrano salici piangenti con i lunghi rami ripiegati su se stessi. Parcheggiato su un argine c’è anche un camion abbandonato dell’Ama, a seguire, la fila di tende grigio- blu donate dalla Caritas ai senzatetto. Più avanti ecco affiorare i resti del Ponte Neroniano sotto Ponte Vittorio Emanuele II. I barconi di alcuni circoli di canottaggio sono arenati, hanno più di 70anni.

“Con le sue inondazioni e le sue secche non è sempre facile vivere il fiume – racconta Mario Messina, del Circolo Baja Deportiva-. Molte di queste imbarcazioni rischiano più con la siccità che durante le piene, perché sbattono sul fondo e possono affondare “.

Anche Mario punta il dito sull’amministrazione: “Nella piena del 2012, forse la più violenta, abbiamo risanato le banchine e messo le illuminazioni. La competenza del fiume è della Regione, la Comunità europea ha stanziato 8 milioni di euro, ma ogni volta che proviamo a chiedere un intervento ci viene negato”.

Carmen ha un sogno, e mentre riprende la sua occupazione quotidiana rivela: “Qui ci sono 500 metri lineari di terreno che portano a Ponte Risorgimento: vorrei veder costruire un parco per i residenti, un orto fluviale. Ci sono piante varie per dimensioni e tipologie studiate negli anni da alcune università. Ma in questa città manca la cultura del fiume, basta guardare i muraglioni: troppo larghi e senza colonnine. Così i pedoni non riescono proprio a guardare giù”.