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Italiano in Galles offre tour virtuali tra le meraviglie d’Italia su Zoom. “Mi reinvento nell’emergenza ma torneremo a viaggiare”

Con il Coronavirus, tutto si è fermato. Mario Bernardi, fondatore e Ceo di un’impresa di turismo in Galles, ha deciso di reinventarsi nell’emergenza. Oggi offre tour virtuali privati su Zoom, per continuare a guidare i turisti tra le meraviglie d’Italia, dalla Cappella Sistina alle opere di Raffaello, Caravaggio, Michelangelo.

40 anni, romano, con il suo tour operator specializzato in viaggi culturali, Mario porta ogni anno centinaia di visitatori stranieri – americani, canadesi, inglesi, asiatici – alla scoperta della grande bellezza italiana. È cresciuto in una famiglia di militari. «Almeno da tre generazioni: i miei nonni, i miei zii, mio padre. Anch’io ho frequentato la scuola militare, la Nunziatella a Napoli, ma mi sono reso conto che non ero tagliato per la divisa. Ho preso un’altra strada». Laurea in Filosofia a Roma, un lavoro come assistente tecnico museale al Pantheon e poi la voglia di mettere a frutto studi e passione per arte e letteratura in una impresa. Prima in Italia, poi nel Regno Unito. L’ha chiamata The Grand Tour. «Come il viaggio dei nobili inglesi e nordeuropei del ‘700. Allora il Grand Tour era il completamento di un percorso di formazione. E anche i nostri viaggi hanno una forte impronta didattica».

Facciamo un passo indietro. Come hai iniziato?

«Al primo anno di università cercavo un lavoro part-time per il fine settimana. Avevo pensato di fare il cameriere in un ristorante. Poi ho letto un bando del Ministero dei beni culturali. Cercavano assistenti museali con buona conoscenza dell’inglese. Si trattava di dare informazioni e offrire visite gratuite ai turisti. Ho vinto il concorso e ho iniziato al Pantheon, nel 1999. Parlando con i visitatori, mi sono reso conto che cresceva il bisogno di un turismo culturale di qualità. In quegli anni iniziava anche il boom dei viaggi. Così con altri soci, giovani architetti e storici, ho avviato l’impresa nel 2002».

Perché poi hai scelto di trasferirti nel Regno Unito?

«Molti clienti erano scuole e università inglesi o professori che venivano a Roma per convegni, avrei potuto seguirli più da vicino. Nel 2010, in Italia, passavo metà del mio tempo tra commercialista, banca, amministrazione. Avevo voglia di cambiare vita. In più ho conosciuto mia moglie, che è gallese. Così mi sono trasferito. Ho ricominciato da solo. All’inizio lavoravo meno, ma da subito ho avuto meno difficoltà di gestione. Potevo concentrarmi più sul prodotto».

Che tipo di viaggi organizzi?

«Non è il viaggio solo come intrattenimento ma anche come formazione. Il turista è sempre accompagnato da un esperto che lo guida tra musei, aree archeologiche, monumenti, cantine del vino. Ci sono offerte standard, come il soggiorno a Roma o il tour di 7-10 giorni tra le principali città d’Italia. Ma funzionano come canovaccio: ogni viaggio poi può essere personalizzato e adattato al cliente. Lavoriamo con gruppi di 6-10 persone, americani e canadesi per il 70-80%, tanti asiatici di Hong Kong, Macao, Singapore e una piccola percentuale di italiani per viaggi in Europa».

Come promuovi l’attività?

«Nei primi anni bastava il sito, oggi è più difficile avere prenotazioni dirette. Mi appoggio a distributori, come Expedia e TripAdvisor, ho diverse collaborazioni, con American Express, tour operator e agenzie, e una piccola rete di agenti. Molti contatti arrivano dai clienti, che consigliano i nostri viaggi agli amici e spesso ritornano. Perché l’Italia non è uno di quei posti in cui basta andare una volta. Anzi, dopo il primo viaggio hai voglia di tornare e scoprire nuove destinazioni. Ti sposti da Firenze a Roma a Napoli e tutto cambia. Le destinazioni più richieste sono le grandi città d’arte, anche Venezia, Milano, e negli ultimi anni la Sicilia, che offre una varietà culturale unica».

Costi e guadagni?

«Per un tour operator l’investimento iniziale è di circa 30mila euro. I margini sono bassi per il pacchetto turistico base, tra 7 e 15%. Il grosso del profitto arriva invece dalle attività, come le escursioni, con margini tra il 20 e il 30%».

Che impatto ha avuto il Coronavirus?

«È stato uno shock. Di fronte a una crisi l’industria del turismo è la prima ad essere colpita e l’ultima a riprendersi. A fine febbraio, quando sono iniziati i primi casi in Lombardia, nell’arco di un fine settimana abbiamo avuto il 50% delle prenotazioni fino a maggio cancellate. Per sopravvivere ho dovuto tagliare tutte le spese. Ho rimborsato i clienti. Qualcuno ha accettato di posporre il viaggio. Mi sono assicurato di pagare i fornitori: guide, autisti, mezzi. Poi tutto si è bloccato. Adesso, oltre a studiare nuove offerte per il futuro, uso la tecnologia per viaggiare. Organizzo visite guidate virtuali e personalizzate».

Come funzionano?

«Puoi prenotare una visita di 40 minuti/un’ora su un monumento, un museo o un’area archeologica. In videoconferenza, l’ideale è avere da 5 a 10 persone, ma potenzialmente si può arrivare fino a 100 con Zoom. Uso realtà virtuale, immagini ad alta risoluzione, risorse disponibili sui siti dei musei o su Google Art. Sullo schermo puoi vedere anche il minimo dettaglio e fare raffronti con altre opere. Rispetto a un documentario, c’è il vantaggio dell’interazione: il “visitatore” può fare domande e personalizzare la visita. Ho lanciato dei video promo (brevi visite gratuite, disponibili su YouTube, sito e social) poco prima di Pasqua. Due giorni fa ho venduto i primi tour privati. Il prezzo? 100 euro per un’ora. In futuro, credo che userò il digital anche per programmare i viaggi con i clienti».

Come lo vedi il futuro?
tour mario bernardi

«Il turismo è la prima industria al mondo. Le persone amano viaggiare. La nostra società valorizza il viaggio più delle precedenti. Non ci sono mai state così tante visite ai musei come negli ultimi anni. Ma la crisi è arrivata in un periodo cruciale per il settore: in inverno si guadagna poco, alcuni mesi sono in negativo, da marzo a ottobre recuperi per tutto l’anno. Se questo blocco durasse fino all’autunno porterebbe via non il 50% ma il 90% del fatturato. Sarebbe un colpo durissimo. Credo che ci vorranno almeno sei mesi o un anno per ripartire, e forse due per tornare ai volumi di prima. Tutto dipenderà da quanto sarà grave la crisi economica, perché il turismo di lusso e culturale va forte quando la gente ha soldi “extra” da spendere. La vacanza a basso costo puoi farla sempre. I viaggi esclusivi richiedono una spesa maggiore».

E la ripartenza come sarà?

«Ci sarà l’assalto, tanta concorrenza, gli operatori più grandi potranno abbassare i prezzi. Io, da piccolo operatore, non potendo mirare a prezzi bassi e grandi quantità, punterò sulla qualità. Alla ripartenza i turisti saranno attenti anche a quella. Tra i piccoli operatori, alcuni spariranno, altri si reinventeranno perché è anche vero che dalle crisi nascono grandi opportunità».

Su cosa converrà puntare?

«All’inizio il turismo riaprirà a livello locale quindi per una ripresa rapida partirei subito da quello, anche con i viaggi in giornata. Nel lungo raggio, le persone saranno più attente a scegliere i servizi, a non dare troppa importanza a quegli elementi accessori del viaggio come la bottiglia di champagne di benvenuto. Guarderannno alla qualità. Il ruolo dell’operatore sarà molto valorizzato. Già adesso alcuni hotel usano la realtà virtuale per mostrare le loro camere. E servizi simili saranno sempre più richiesti. Per il rilancio del turismo, bisognerà puntare anche sulle infrastrutture, che dipendono dalle autorità locali. E sulla cultura dell’accoglienza. In certe città il turismo non sarà più visto come un fastidio necessario per sopravvivere, avrà un maggior valore per i cittadini».

Un consiglio agli aspiranti imprenditori?

«Il mio primo ufficio a Roma era vicino a un’agenzia di viaggi. Il titolare era un vecchio imprenditore affermato. Io avevo una formazione culturale ma non sapevo niente di business, amministrazione, conti. Ho dovuto studiare tutto. Chiesi a lui un consiglio. La sua risposta è sempre valida: “Tieni i costi bassi perché lavorando nel turismo ti ritroverai a fermarti spesso”. Lui aveva visto tante crisi, noi oggi ricordiamo il 2008, l’influenza suina, il terrorismo. In un settore così volatile, non strategico, bisogna sempre mantenersi cauti con gli investimenti e i costi correnti, avere una struttura flessibile che possa crescere, espandersi ma anche fermarsi, decrescere, azzerare quasi tutti i costi in poco tempo. Nel mondo globalizzato, quando l’economia cresce, le cose vanno bene per tutti. Il rovescio della medaglia è che anche le crisi si espandono velocemente e hanno un effetto sempre più rapido e diffuso. Lo vediamo adesso con il Coronavirus. Ci può essere sempre qualcosa che ti rallenta e tu devi essere pronto a reagire il più velocemente possibile».